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sabato 23 febbraio 2019

PAOLO CANTU' INTERVISTA SU SENTIRE ASCOLTARE

Di Nazim Comunale


Ogni volta che si parla di Makhno, il progetto autarchico di Paolo Cantù, si fa riferimento alla sua densa e lunga storia (dagli esordi industrial di Tasaday, alla primissima formazione di Afterhours, per poi passare all’urgenza rock di Six Minute War Madness, alle esplorazioni avant di A Short Apnea e infine a Uncode Duello in duo con Xabier Iriondo). Didascalico, prevedibile, ma probabilmente giusto ed inevitabile, tanto più in tempi come i nostri dove spesso salgono alla ribalta dal nulla musicisti poco strutturati, privi di un solido background di riferimento, oppure che si preoccupano più di pose, di imitazioni malcelate, di inseguire l’ultima moda. Lui, con coerenza e olio di gomito, appartato ma pronto a gettarsi nella mischia (registra i propri dischi in autonomia e va ancora in tour, anche se mi ha confidato che anche per un progetto agile come il suo – si porta dietro all’occorrenza tutto, gli basta semplicemente la corrente elettrica – è sempre più complicato trovare situazioni per fare concerti), continua invece a seguire la propria strada. All’insegna di una musica affilata e che sa di ruggine, tra memorie industrial, vapori di cantieri rock, astrazioni impro, bave noise. Semplicemente un modo coraggioso, personale e senza paraocchi di fare rock in Italia, adesso. Leaking words, uscito a marzo 2018, è l’ennesimo ottimo disco che lo vede coinvolto, il terzo come Makhno, a seguire Silo Thinking del 2012 e Third Season del 2015. Ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda.
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