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C’è lo
sforzo congiunto di Brigadisco, Neon Paralleli,Wallace
records e Hysm? Dietro al progetto
Makhno, alias di Paolo Cantù, straordinario polistrumentista
(Autodidatta!), metà degli
Uncode Duello nonché presenza discreta ma
molto assidua della scena industrial/avant rock
degli ultimi decenni (Basterebbero A Short Apnea e
Six Minutes War Madness per assicurarsi una
piastrella nella walk of fame del rock indipendente
italiano). Se il sodale Xabier per il disco
in proprio si è circondato di una miriade di ospiti illustri allestendo una specie di Iriondo and
friends, Paolo Cantù confezione il proprio disco d’esordio
in una solitudine quasi assoluta. “Silo
thinking” è una
ripartenza ma anche un
disco che tira le fila di una carriera davanti alla
quale bisogna togliersi il cappello, rispecchia almeno
due decenni di musiche altre che sono
passate sotto i ponti, dall’industrial al postpunk
a noise e avant rock. Sono canzoni come
racconti dalla forte valenza politica, testimonianze
di vite bruciate di ribelli coerenti con le
proprie idee fino all’autodistruzione, raccolte
o trovate in ogni epoca e luogo (Robert Catesby,
Nestor Makhno, Ulrike Meinhorf ), c’è la
bellezza insensata di chi va incontro alla sconfitta
perché alternative come arretrare o piegarsi
semplicemente non sono contemplate e altri
modi di vivere impossibili da concepire. I pezzi
di “Silo Thinking” hanno l’andamento technoide
delle società spersonalizzate, la ripetizione
ossessiva del motorik tedesco, le chitarre
spigolose del noiserock albiniano, un
contrasto che stride fortemente con la profonda
umanità delle voci e delle storie raccontate.”Remember”
procede
macchinosa un po’
Big Black un po’ Fuzz Orchestra, “ La Makhnovtchina”
con quelle chitarre incrociate potrebbe
assomigliare ad uno di quei traditional dell’est
Europa rivisto e stravolto dai migliori
Ex, “Ulrike” è
kraut/industrial pestone, la
testimonianza di quotidiano antifascismo di “Zena”
in dialetto
genovese ricorda certi esperimenti
dei This Heat. “Stiv” (omaggio a Stiv
Livraghi, frontman di Tupelo e Playground, un
amico che se n’è andato troppo presto) conserva ancora
qualche legame con gli Uncode Duello,
così come “Fine della storia” che parte
ambient
e finisce con un sinuoso ed elegantissimo funk rock, credo l’unico pezzo con una
parte vocale registrata ad hoc per il disco insieme
alla conclusiva, disperata Custer con un
testo di Federico Ciappini che narra di una sconfitta
ma forse anche di una vittoria morale (Il
raggelante “Dammi due pistole Paolo, chevoglio
morire!), ecco più che dei Massimo Volume
mi sento di accostarla agli Starfuckers, giusto
per stabilire le debite proporzioni.
Stefano
"Monty" Montesano
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