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lunedì 22 ottobre 2012

MAKHNO - RECENSIONE DISTORSIONI Rock e Altri Suoni

Una sperimentazione sincopata e deragliata che si nutre di scorie noise, avanguardia elettronica, art rock, rivoli di blues deviato e torbido. Il primo lavoro solista di Paolo Cantù, musicista di provata esperienza, sulla scena undeground da oramai oltre un ventennio, risulta essere fedele al moniker scelto: emblema di anarchia e fedeltà incondizionata al proprio istinto -se vogliamo essere precisi- alla parte più selvaggia e svincolata nascosta nel proprio io. Tutti gli otto brani dell'album trasudano impellenza, voracità, frenesia creativa e allo stesso tempo sono fluidi e reattivi nel gioco instancabile delle libere associazioni. Abozzi di astrattismo neo primitivo come palpiti di viscerale, arcana reazionarietà, incontrollabile forza vitale. Convergono in "Silo Thinking", con omogeneità sbalorditiva, le innumerevoli incarnazioni e le sfaccettate complessità di Cantù: le abrasività vintage e rumoriste di Six Minute War Madness; i tapes recording di A Short Apnea; le intensità e il nervosismo strumentale da simbiosi interattiva e ricerca sonora  espressi in Uncode Duello; la cinematica industrial e tribale dei Tasaday.
Le impalcature ritmiche, i pattern rumoristi destrutturati e continuamente sovrapposti e stratificati, spesso dissonanti e costruiti su tempi irregolari, danno luogo ad una dimamica di interazioni, si irrobustiscono e pulsano, lasciano sempre impensabili spazi all'armonia di fondo, ad un ideale unitario. Custer, Zena, La Makhnovtchina sono decisamente inni di orgoglio e vigorosa autonomia identitaria che richiama la sferzante satira dei Pere Ubu e allo stasso tempo si riaggancia a trame di nientificazione metaforica che i Tasaday avevano eletto a bandiera ideologica. Ulrike, Father and son intrecciano la meccanica del disfacimento e dell' abbruttimento urbano con la resistenza tribale e ostinata. Sembra una lotta impietosa quanto eroica contro la spersonalizzazione. Poi c'è un meraviglioso omaggio ai Tupelo di Stiv Livraghi con la palpitante Stiv: oscura, graffiante, sanguinante e sporcata dei riverberi blues del clarinetto e dalle percussioni carnali e primitive.  Remember e Fine della storia si imbevono nell'essenza liquida e simbolista di Beefheart, sono corse forsennate di ricerca dell' essenziale, impregnate di vibrazioni e intuizioni che raccolgono riflessi di inesprimibile e intraducibile, scariche adrenaliniche, confluenze di caos riflesse da una eclettica lente deformante e da un indicibile istrionismo arty. Un disco assolutamente originale ed unico, spiazzante e inaspettato. Se esistesse un ipotetico tavolo delle scommesse in nero dedicato all'alternativo di maggior pregio ci punterei tutto, pure la biancheria intima.
Romina Baldoni

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venerdì 12 ottobre 2012

MAKHNO - RECENSIONE TERAPIE MUSICALI

""Silo thinking" è il termine inglese usato per definire il "pensare a comparti stagni". Io ho utilizzato molto il "silo thinking" in momenti in cui i problemi da affrontare erano troppi e i rischi di non trovare soluzioni altissimi. Il riferimento è dunque molto personale, ma è anche un po' la storia del disco e dei brani. Ho lavorato in modo da trovare per ognuno di loro una soluzione particolare, come se ogni episodio qui presente fosse un comparto stagno, anche se poi inevitabilmente (sia nel caso del disco che nella vita) ti rendi conto che le metodologie per trovare soluzioni, spesso, sono le stesse." Così parlò Paolo Cantù da Monza. Chitarrista per convenzione, suonatore a 360° per passione, orgogliosamente Makhno per scelta di vita, il protagonista delle eclettiche scorribande sonore di Tasaday, Six Minute War Madness, A Short Apnea e Uncode Duello, solo per citare alcuni ensemble musicali a cui ha donato la propria visione sonora, concentra oltre trent'anni di attività in altrettanti minuti spesi per definire in questa opera prima l'essenza e lo stile che ne hanno caratterizzato la carriera, in un continuo ed inesausto slancio creativo votato alla sperimentazione e alla ricerca del suono migliore; convogliato, "catturato", ma subito lasciato (ri)fluire attraverso l'uso controllato dei più svariati strumenti a propria disposizione. SILO THINKING è la conferma di tutto questo. A partire dalla più totale, solitaria autonomia esecutiva con cui la strumentazione è stata trattata. Basso, batteria, drum machines, voci, clarinetti, nastri, le immancabili chitarre, le registrazioni e perfino il mix: tutto qui fa capo al solo Cantù. Tutto parla di e per lui. Ne racconta la storia, confinata probabilmente al di là di quella porta under lock and key che campeggia in copertina. Ricordare diventa lo sforzo utile a ricostruire il proprio percorso. E noi, per farlo, forziamo, apriamo e spalanchiamo quell'accesso così tanto serrato. Con Remember inizia questo percorso intimo, di immagini e sensazioni che si credevano confinate in un angolo della memoria; le atmosfere dei Suicide prendono presto il soppravvento, ma sono potenziate da un intreccio chitarristico dissonante cui sottende una linea di pianoforte che andrà a chiudere questo primo, necessario, brano. Inno della resistenza anarchica ucraina guidata dall'irriducibile Nestor Makhno (da cui deriva il moniker del progetto), La Makhnovtchina diventa cantilenante ed ossessiva nenia tribale, frastagliata, robotica e meccanica, prima di cedere il passo al rock post industriale di Ulrike. Zena "è una cosa che ho trovato in rete, ed è appunto il racconto degli scontri a Genova del 30 giugno 1960 contro il congresso fascista organizzato in città" con un rimando ai migliori Fuzz Orchestra. Il lato A del vinile si chiude con Stiv, il fiero saluto all'amico Stefano "Stiv" Livraghi, leader dei Tupelo scomparso nel 2000 in seguito ad un drammatico incidente stradale. Le infinite possibilità che l'alternanza suono-silenzio regalano ci introducono il tappeto sintetico dell'esasperato dialogo a una voce di Father And Son. Fine Della Storia? No. Unica concessione esterna a questo documento sonoro privato, la voce familiare di Federico Ciappini cresce stentorea nell'impetuosa Custer, conferendole un alto senso di fatale partecipazione e titanica tragicità. Musica carbonara. Meravigliosa. E viva. E immensa. Come la nostra vita. Come le nostre donne. Come le nostre musiche e le nostre grida.
Andrea Barbaglia

Leggi anche su TERAPIE MUSICALI il report del concerto di S.ColombanoQUI
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MAKHNO - RECENSIONE SODAPOP

SODAPOP - MAKHNO / Silo Thinking
Makhno (nome di un anarchico ucraino già usato per una collaborazione fra Nicola Guazzaloca e Francesco Guerri) è il moniker dietro cui si cela Paolo Cantù e già questo fatto, insieme all’immagine di copertina, una porta di ferro chiusa da un lucchetto, ci dice qualcosa sulla poca voglia di apparire del personaggio. Un personaggio che pur avendo militato in alcuni dei gruppi più importanti della penisola, dai pionieri industrial Tasaday alla prima incarnazione degli Afterhours, ai seminali A Short Apnea, a tutte le formazioni più recenti, si è sforzato, riuscendoci, di mantenere un profilo basso, arrivando all’esordio solista appena qualche mese fa nel 10” della Phonometak Series. Ora, se avremo la forza di scardinare quella porta di ferro, ci troveremo al cospetto di uno degli album più intensi degli ultimi tempi, edito in vinile da un quartetto di etichette.
Abbiamo già notato come Cantù sia complementare al compagno di tante avventure Xabier Iriondo e tanto il disco solista del secondo è ricco di ospiti, quanto questo è realizzato in completa solitudine, fatto salvo per un brano. Sempre rispetto a Irrintzi, Silo Thinking è un lavoro maggiormente coeso, frutto di un’operazione di sintesi che si presenta come una tappa importante nella carriera di Cantù, e non semplicemente perché ne costituisce l’album d’esordio. Musicalmente è questo un disco di chitarre sature, mutuate dall’industrial degli albori che, su basi ritmiche ripetitive, si intrecciano con altre, più soniche e melodiche con rari inserti di clarino. Non siamo troppo lontani, per capirsi, dagli Uncode Duello di Tre, ma qua il discorso viene sviluppato e ampliato. Stilisticamente, Silo Thinking è un disco di moderno noise-rock che rifugge la forma canzone, ma che non rinuncia a gettare un ponte verso l’ascoltatore meno avvezzo a questi suoni, grazie a melodie orecchiabili (La Makhnovtchina) e riff di buona presa (Ulrike). Infine, dal punti di vista lirico, è un disco di nomi propri, di persone (Ulrike, Stiv, Custer) e di città (Zena), ognuno dei quali porta con sé parole che fanno incrociare la Storia con la s maiuscola a quella personale, in un dialogo continuo fra passato e presente. Cantù si espone raramente come vocalist: si divide tra cantato e parti recitate, ma più spesso si serve di campionamenti. Le parole sono quasi sempre parole di lotta: la Congiura delle polveri del 1605 ricordata all’iniziale Remember, il canto anarchico de La Makhnovtchina irrobustito dalle chitarre, la voce di Ulrike Meinhof in Ulrike, le manifestazioni del giugno ’60 nel colorito racconto in dialetto genovese di Zena, con un finale epico che dà i brividi. Nella seconda parte sono le vicende più personali a venire alla ribalta, con la voce dello scomparso Stiv Livraghi dei Tupelo in Stiv, la vorticosa Father And Son o l’orgogliosa rivendicazione di Fine della Storia. La summa di tutto, conclusione che lascia aperte mille strade, è nel finale di Custer, con ospite alla voce quel Federico Ciappini che di Cantù è stato compagno nei Six Minute War Madness e occasionale collaboratore in A Short Apnea e Uncode Duello; un personaggio anche più schivo del nostro chitarrista che, le rare volte in cui si concede, fa rimpiangere la sua lontananza dalle scene. Solo a un ascolto disattento questo recitato di cinque minuti su base noise, potrà sembrarvi una copia dei Massimo Volume: Ciappini sfodera un testo ambiguo, in bilico fra delirio d’onnipotenza e sarcasmo nerissimo, spocchia e dolorosa presa di coscienza, interpertato magistralmente, toccando punte di autentica straniazione quando, sul finale, si rivolge direttamente a Cantù con un’invocazione disperata (“dammi due pistole, Paolo!”). Un brano mutevole, che ad ogni ascolto vi parrà significare cose diverse, e che chiude un disco complesso ma bellissimo, assolutamente da avere.

Emiliano Zanotti

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lunedì 1 ottobre 2012

MAKHNO - RECENSIONE BLOW UP


BLOW UP
MAKHNO - SILO THINKING

Canti di battaglia, di lotta alla banalità dell’esistenza, in rivolta contro la passività. Makhno è il progetto solista di Paolo Cantù, ideale fusione di tutte le sue esperienze precedenti ( da Tasaday a Six Minute War Madness, da A Short Apnea a Uncode Duello) in un condensato di idee e emozioni che paiono scaturire dal nucleo stesso della sua personale ispirazione. Registrazioni grezze, operate in totale autonomia e contraddistinte dall’ accurato uso di nastri preregistrati che di volta in volta costituiscono gli elementi narrativi attorno ai quali ruota tutto l’impianto strumentale  (il sample della voce di Stiv Livraghi in Stiv, il frammento cinematografico di Remember), musica di un’anima messa a nudo, autentica e toccante. La Makhnovtchina ha l’incedere della marcia di guerra, la fierezza della giusta causa, dell’opposizione eroica ad un nemico che appare soverchiante ma non invincibile, Ulrike è una nube elettrica che avvolge la voce della Meinhoff in una sorte di evocazione medianica, Zena è una visionaria cronaca di tumulti su una danza macabra di riff distorti e batteria. L’atmosfera è da ultima sacca di resistenza: vivere o morire. Proprio come nelle parole di Federico Ciappini ( l’ex vocalist di Six Minute War Madness) nel brano di chiusura Custer:”…noi siamo così Paolo, circondati e senza alcuna speranza di salvezza…Dammi due pistole Paolo, che voglio morire come il Generale Custer.”

Massimiliano Busti

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