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Pressoché inconsistenti sono le probabilità,
che tale disco di Paolo Cantù, in arte Makhno, venga apprezzato,
appurato e ‘viaggiato’ lungo tutti i suoi sentieri, allo scadere di un
solo primo ascolto, di una sola prima impressione. Tanto quanto
inconsistenti risulterebbero i tentativi di elencare le varie e
intricate motivazioni, per cui l’ascolto di “Silo Thinking” (Hysm? / Brigadisco Records / Wallace Records / NeonParalleli, 2012) risulta
meravigliosamente invadente e
coinvolgente. Un album, che dato il forte interesse e fascino che suscita, incita
alla scrittura e, ancor più, ad approfondire la vicenda Makhno, nei suoi
risvolti non prettamente musicali, ma, più largamente, politici. Perché
sembra proprio un risveglio improvviso di coscienza, quello che porta
alla nascita di un disco di tal tipo; un risveglio dal sozzo sudiciume
della (ir)realtà storica contemporanea. Un risveglio di coscienza, che
permette di tessere un paragone con il percorso rabbioso, intrapreso dai
Fuzz Orchestra, ma le similitudini, ritornando sui nostri passi e
concentrandoci su un discorso musicale, terminano qua. Tuttavia, non
sembra a noi minoritaria l’importanza, che andrebbe dedicata a tale
sfaccettatura: la musica, che, in tempi di crisi esistenziali, si
riappropria dei contenuti per dar vita a un fuoco fatuo, con cui poter
incendiare le macerie abbandonate di quegli ideali, che le convenzioni
di un passato opprimente hanno portato allo stato di ultimo degrado.
“Ecco, io, spesso, mi sento così, sento che noi siamo così, Paolo.
Circondati e senza alcuna speranza di salvezza, e ciò nonostante,
valorosamente, ci battiamo con l’eccezione che i nemici non sono i
coraggiosi Sioux, bensì una massa di stupidi, di ignoranti, di pecore,
che obbediscono per paura. E sono pigri e indecenti e servi.” Poesia
politica, futurista e popolare.
THE WHITE SURFER
E' praticamente impossibile parlare di Paolo Cantù senza tracciare un parallelo con la carriera di uno dei suoi più longevi compagni di viaggio, Xabier Iriondo:
entrambi sulla scena musicale da oltre vent'anni, durante i quali hanno
dato vita a molte delle band cardine dell'underground nazionale, dagli Afterhours ai Six Minute War Madness, dagli A Short Apnea agli Uncode Duello,
passando per un'infinità di progetti minori; entrambi giunti
all'esordio in solitaria solo ora, peraltro dopo un'anticipazione
condivisa nel decimo ed ultimo volume della Phonometak Series, in cui
gli artisti si spartivano i due lati del 10".
E' invece impossibile per me fare un confronto tra il disco in
questione ed "Irrintzi", l'album di Iriondo, che non ho ascoltato. Cosa
che non mi impedisce comunque di tessere le lodi di questo eccellente
"Silo Thinking": c'è molto delle esperienze pregresse del nostro Makhno,
a partire dai clangori industrial della chitarra (ecco i Tasaday) che
spesso e volentieri si lancia in sferraglianti progressioni noise memori
degli Shellac (Remember) e dei Novanta più noise e math.
Esplicito il messaggio politico sin dalla scelta del moniker, preso in prestito all'anarchico ucraino Nestor Makhno al quale è dedicata una versione noise - e qui L'Enfance Rouge ha fatto scuola - dell'inno La Makhnovtchina, e che continua con le successive Ulrike (Meinhoff, della banda Bader-Meinhoff), proto-techno a suon di drum machine e sei corde, e Zena, racconto antifascista d'epoca in dialetto genovese immerso in un delirio di percussioni e destrutturazioni chitarristiche (e qui sbucano le sperimentazioni degli A Short Apnea). Paolo Cantù si occupa di tutto: chitarre, basso, batteria, voce, drum machine, clarinetto, nastri. Campionamenti vocali a parte - tra i quali spicca il commovente omaggio all'amico Stiv Livraghi, frontman dei Tupelo e dei Playground (band dalle quali nacquero i lodigiani Satantango) morto in un tragico incidente d'auto - l'unico contributo esterno è quello di Federico Ciappini dei Six Minute War Madness nella trascinante (a onor del vero, i primi Massimo Volume potrebbero chiedere i diritti d'autore), conclusiva Custer, vera e propria dichiarazione di guerra alla mediocritocrazia oggi imperante.
Non corre invece il rischio di essere mediocre Cantù, che ci regala un album riuscitissimo nonché ottima sintesi di una carriera che pochi, in Italia, possono vantare.
Esplicito il messaggio politico sin dalla scelta del moniker, preso in prestito all'anarchico ucraino Nestor Makhno al quale è dedicata una versione noise - e qui L'Enfance Rouge ha fatto scuola - dell'inno La Makhnovtchina, e che continua con le successive Ulrike (Meinhoff, della banda Bader-Meinhoff), proto-techno a suon di drum machine e sei corde, e Zena, racconto antifascista d'epoca in dialetto genovese immerso in un delirio di percussioni e destrutturazioni chitarristiche (e qui sbucano le sperimentazioni degli A Short Apnea). Paolo Cantù si occupa di tutto: chitarre, basso, batteria, voce, drum machine, clarinetto, nastri. Campionamenti vocali a parte - tra i quali spicca il commovente omaggio all'amico Stiv Livraghi, frontman dei Tupelo e dei Playground (band dalle quali nacquero i lodigiani Satantango) morto in un tragico incidente d'auto - l'unico contributo esterno è quello di Federico Ciappini dei Six Minute War Madness nella trascinante (a onor del vero, i primi Massimo Volume potrebbero chiedere i diritti d'autore), conclusiva Custer, vera e propria dichiarazione di guerra alla mediocritocrazia oggi imperante.
Non corre invece il rischio di essere mediocre Cantù, che ci regala un album riuscitissimo nonché ottima sintesi di una carriera che pochi, in Italia, possono vantare.
Alessandro Gentili
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