Chi è Makhno? Makhno è il one man project di Paolo Cantù,
musicista autodidatta, sperimentatore estremo della chitarra elettrica e
di qualsiasi altra cosa gli capiti tra le mani. Dopo aver militato in
alcuni dei gruppi più importanti della penisola, dai pionieri industrial
Tasaday alla prima incarnazione degli Afterhours, passando per i
seminali Six Minute War Madness e A Short Apnea, fino a
tutte le formazioni più recenti, è sempre riuscito a mantenere un
profilo basso, arrivando all’esordio solista appena qualche mese fa nel
10” della Phonometak Series, condiviso con l’amico di scorribande
sperimentali Xabier Iriondo. Silo Thinking è la sua prima prova in completa autonomia. L’album in vinile 12″ esce in coproduzione con le etichette Wallace Records, Hysm?, Brigadisco e Neon Paralleli (dello stesso Cantù) e vede come unico contributo esterno la presenza di Federico Ciappini (Six Minute War Madness).
“Silo thinking
è il termine inglese usato per definire il “pensare a comparti stagni”.
Io ho utilizzato molto il “silo thinking” in momenti in cui i problemi
da affrontare erano troppi e i rischi di non trovare soluzioni
altissimi. Il riferimento è dunque molto personale, ma è anche un po’ la
storia del disco e dei brani. Ho lavorato in modo da trovare per ognuno
di loro una soluzione particolare, come se ogni episodio qui presente
fosse un comparto stagno, anche se poi inevitabilmente (sia nel caso del
disco che nella vita) ti rendi conto che le metodologie per trovare
soluzioni, spesso, sono le stesse.” Descrive così Paolo Cantù la
propria avventura col nuovo disco, più di trenta minuti di ricerca,
protesta, amaro ricordo ed estro creativo infinito; e così il mago
Makhno si destreggia autonomamente fra chitarra, basso, batteria,
clarinetto, elettronica e nastri, inscenando un disco di avant-noise,
rock acidulo, senza negarsi sprazzi di industrial e contaminazioni
storiche.
Canzoni-manifesto che filtrano avidità, forza, rabbia e urgenza: quello di Makhno non è un urlo aperto -come l’opera estrema di Iriondo col suo Irrintzi-
piuttosto un’implosione interiore, selvaggia e sintomatica di un
disagio sociale attualissimo, di una non- Storia lacerata, da nomi,
luoghi e persone. Dalla liquida e ipnotica ”Remember” che ricorda la
Congiura delle polveri del 1605 (fallito complotto progettato da un
gruppo di cattolici inglesi a danno del re Giacomo I d’Inghilterra) in
mezzo a lidi free-jazz distorti e psichedelici, ai ritmi à la Ulan Bator de ”La Makhnovtchina”, inno della resistenza anarchica ucraina guidata dall’irriducibile Nestor Makhno. Il post-industrial di ”Ulrike” si fa spasmodico e acido nel ricordare la giornalista e terrorista tedesca Ulrike Marie Meinhof. ”Zena” è
un dipinto coloratissimo che racconta degli scontri avvenuti a Genova
il 30 giugno 1960 contro il congresso fascista organizzato in città.
Spettri rock ed esaltanti drone di chitarra riecheggiano un passato
difficile in cui Cantù sembra sentirsi ancora prigioniero. La voce del
compianto Stiv Livraghi, fondatore dei Tupelo, entra palpitante nell’oscuro turbinio carnale di ”Stiv”, marziale saluto all’amico scomparso nel 2000 in seguito ad un drammatico incidente stradale. Atmosfera tesissima per ”Father and Son”, un post-rock abrasivo e rumorista mentre gli otto minuti de ”La fine della storia” ricordano un desert-blues tiratissimo e vorticoso. La conclusione è affidata a ”Custer” che vede il primo e unico apporto esterno, quello di Federico Ciappini
(ex Six Minute War Madness) che qui regala una voce narrante, fra
allucinazione e violenza, per una nervosissima confessione a cuore
aperto sulla feroce battaglia di Little Big Horn. Ai più potrà forse
suonare come un impasto fra Massimo Volume e Offlaga Disco Pax… niente
di tutto ciò: c’è una disperazione alienata e straziante, un sarcasmo
tombale che avvicina il recitato di Ciappini a un violento assalto
sonoro del miglior Carmelo Bene.
Quello creato da Makhno/Cantù
è un fiume in piena, le cui acque straripano fra rock industrial
sperimentale e noise, ma quel noise bello, fatto di chitarre
sferraglianti un po’ Shellac un po’ Suicide. È anche un fiume di satira incattivita e tagliente a metà fra Pere Ubu e Jesus Lizard, incastonato in un’atmosfera ossessiva e meccanica. Silo Thinking
è un album intenso e nervoso, come solo un album politico sa essere,
con la sua voglia di partecipare e vivere l’obbligatorietà di una
scelta. Fare politica è questo e la bellezza di prendersi la libertà di
pensare e agire seppure stanchi e delusi da una società vecchia, arcigna
e arida. Per concludere questo viaggio all’insegna della
destrutturazione sonora e degli idealismi simbiotici, vi lascio alle
parole di Ciappini nel finale dolcemente straziante di ‘Custer‘: ” Sento
che noi siamo così Paolo, circondati e senza alcuna speranza di
salvezza, e ciò nonostante valorosamente ci battiamo……noi discendiamo
dagli dei e abbiamo il coraggio, la volontà, la forza delle nostre idee e
conosciamo l’amore, l’amore che è una cosa meravigliosa, che è una cosa
viva, che è una cosa immensa, come la nostra vita, come le nostre
donne, come le nostre musiche e le nostre grida Dammi due pistole Paolo,
che voglio morire come il Generale Custer”.
Beatrice Pagni
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